Youth violence: “They are not real baby gangs, but boys without rules”

Youth violence is an alarm in Italy: not real “baby gangs” but spontaneous groups of young people united by social networks

Episodes of youth violence, of gender but not only, are raging. The rapes in Piazza Duomo in Milan on New Year’s Eve, the local agent attacked near the Navigli, the maxi brawl in Nichelino in Piedmont, the daily threats to the Savena in Bologna. But often it is not real “baby gang “ that we speak, but rather of groups without any hierarchy or internal organization, from which whoever wants to enter and exit when they want. Affaritaliani.it talked about it with Don Claudio Burgio, founder and president ofKayros association (reception community and educational services for adolescents) and chaplain of the Beccaria juvenile penal institute in Milan, a priest on the front line for these children.

Non si può parlare di “baby gang” in senso tecnico. Oggi abbiamo a che fare con ragazzini che non sono organizzati o strutturati gerarchicamente in una comunità. Si tratta piuttosto di gruppi spontanei che prendono vita grazie ai social. Reati, rapine, nascono sul momento. Il fattore accomunante risiede proprio nell’utilizzo dei social e nella ricerca di visibilità e follower.

Fanno riflettere le parole dello psicologo della Casa del Giovane, Simone Feder: “Gli adolescenti di oggi sono freddi dentro”. Poi dice: “Ragazzi cresciuti fra patatine e iPhone, a cui nessuno ha mai impedito nulla, che non hanno introiettato regole, a partire dal rispetto dell’altro“. E’ d’accordo?

Sì, in parte sono d’accordo con questa definizione. Nel senso che è vero, si tratta di ragazzi freddi. Ma la freddezza è solo un’apparenza. Se si prova a scavare più a fondo, si scopre che non è così, che in realtà più che di freddezza si tratta di analfabetismo sentimentale. Sono ragazzi che non sanno come gestire le proprie debolezze e fragilità, non le accettano e pensano siano da nascondere. Questo anche a causa dell’ambiente in cui si trovano a crescere, che spesso non li mette nelle condizioni di farlo emotivamente e avere quindi gli strumenti necessari a superare queste fragilità per andare oltre. Di conseguenza non sono ragazzi empatici, e alcuni sono molto viziati. Tendono a ostentare una finta sicurezza camuffandosi da bulli.

Alla radice di questi episodi violenti, secondo lei, quindi che cosa c’è?

Diciamo che ci sono due categorie di ragazzi. Quelli a cui è stato concesso troppo e quelli a cui è stato dato troppo poco. In entrambi i casi il problema è la mancanza di un equilibrio. Nello specifico, quando parliamo di giovani molto viziati, sono casi in cui si è cresciuti nell’ottica del supporto materiale per affermare la propria personalità. Così il possedere l’iPhone o una maglietta costosa diventano mezzi per acquisire il rispetto dei pari. Sicuramente, ci tengo a sottolinearlo, la violenza non è un problema legato all’etnia. L’analfabetismo emotivo è trasversale, riguarda gli italiani e gli stranieri. Se non si capisce questo si concede agli adulti una comoda via di fuga dal problema reale.

Anni fa ha pubblicato il libro “Non esistono ragazzi cattivi”. Pensando anche al percorso di Daniel Zaccaro, da bullo a educatore, dopo 7 anni nella sua struttura, si sente di dire che non esiste un solo caso “senza speranza”?

Sì, assolutamente. Ma ognuno ha i suoi tempi, e il processo è molto spontaneo. Ed è importante che lo sia, perché sia veramente efficace. C’è un aspetto della storia di Daniel Zaccaro, inoltre, particolarmente significativo e esemplare, ovvero la rete che si è creata, dalla famiglia all’associazione e alle istituzioni, che ha accompagnato, passo dopo passo, Daniel nella sua crescita personale. Questo è molto importante, e spesso è un fattore che manca o che viene sottovalutato. Per dirne una, le famiglie nella maggior parte dei casi sono assenti o, se ci sono, agiscono con una mentalità individualista. Per cui, anche al sorgere dei primi segni evidenti di difficoltà nel proprio figlio, pensano di potersene occupare autonomamente e di poter affrontare i momenti anche più delicati completamente sole.

Con la sua associazione Kayros come vi muovete?

Noi accogliamo ragazzi con una fase penale alle spalle. Diamo loro tutto il tempo necessario, cancellando del tutto l’ansia da prestazione, e li mettiamo in contatto con diverse realtà, dallo sport al cinema, alla musica. L’intento è che man mano riescano a riconoscere i propri interessi, a capire a cosa vogliano dedicarsi, e forniamo loro gli strumenti e le figure di riferimento necessarie per farlo. Quando ad esempio si estingue la misura cautelare, gli pemettiamo di rimanere gratis da noi, finché ne hanno bisogno. Li assistiamo anche nella ricerca lavorativa e abitativa.

Dopo gli episodi delle ultime settimane il sindaco di Milano Beppe Sala, in consiglio comunale, ha annunciato delle misure di contenimento e prevenzione, in particolare più telecamere di sicurezza e un potenziamento dell’organico dei vigili. Che cosa ne pensa?

Ma sicuramente agire sulle misure è importante, ed è quello a cui un sindaco deve pensare. Aumentare le telecamere di sicurezza e l’organico dei vigili ha un significato però, se a questi interventi se ne affiancano altri. La priorità deve essere l’educazione. Pensare alle telecamere e basta non avrebbe senso. Anzi, il picco di violenza a cui stiamo assistendo è la prova, e di questo dobbiamo prendere atto, che, dalle istituzioni alle famiglie, qualcosa nell’educazione dei giovani non ha funzionato. E prima ce ne rendiamo conto, prima si potrà individuare dove intervenire e curare. Quando si agirà sull’educazione, probabilmente, non ci sarà più nemmeno bisogno delle telecamere.